Gianni Lannes: Italia: discarica delle multinazionali chimiche. Grazie Gianni.
Articolo riportato da sulatestagiannilannes.blogspot.it e rinvenuto sul sito signoraggio.it
Gianni Lannes: Italia: discarica delle multinazionali chimiche
Soluzione ecomafie? Da una lettera del 31 dicembre 1992, indirizzata dal dottor Luigi Antonio Mascia dell’Usl 7 di Termoli al sindaco, apprende: «con l’obbligo da parte dell’azienda di provvedere comunque ad allontanare i residui, anche individuando sistemi alternativi di smaltimento».
Gianni Lannes: Italia: discarica delle multinazionali chimiche
Schiavizzati peggio dell’India: nessun rispetto per la vita e per l’ambiente. Il Molise come tutte le regioni del Sud è soltanto una discarica a cielo aperto.Non è tutto. A quanto pare c’è pure una produzione bellica segreta. Infatti, secondo una rivelazione autorevole,
«Le tre aziende chimiche Flexis, Sts e Witco del nucleo industriale di Termoli producono sostanze chimiche le cui reazioni potrebbero provocare esplosioni simili a quelle nucleari» ha dichiarato il presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. Correva il 7 marzo dell’anno 1998. La denuncia è dell’allora senatore Francesco Carella, di professione medico, esperto di igiene del lavoro ed esponente dei Verdi. La sua dichiarazione autorevole cade nel vuoto. Eppure, le aziende menzionate dall’esperto sono in grado di fabbricare armi chimiche. Ufficialmente la Flexis produce acceleranti di vulcanizzazione, la Sts additivi per farmaci e la Witco, vale a dire la Unione Carbide, composto per collanti.
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Esatto, la Union Carbide del disastro provocato a Bhopal in India nel 1984, le cui conseguenze sanitarie ed ambientali sono pagate dalla popolazione indiana ancora oggi.
Dalla documentazione istituzionale acquisita emerge un quadro a tinte da genocidio autorizzato dalle autorità italiane compiacenti.
La Union Carbide ha inquinato il fiume Biferno, il mare Adriatico, l’aria e la terra. Non solo ha “smaltito” – si fa per dire – rifiuti pericolosi addirittura nella discarica adibita a rifiuti solidi urbani di Termoli. L’informazione si evince da una nota del Comune di Termoli datata 7 luglio 1992. Infatti c’è scritto:
«In riferimento alla richiesta di smaltimento di 18 mc di rifiuti prodotta dalla società UNION CARBIDE di Termoli in data 06.07.92 considerato che le caratteristiche quali-quantitative dei rifiuti di che trattasi sono smaltibili, per classe e volumetria della discarica comunale, presso l’impianto di Greppe di pantano, considerato che è in corso di perfezionamento una specifica convenzione che regola le modalità di smaltimento dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani prodotti dalla ditta medesima, considerato inoltre i motivi di igiene pubblica e salute, si esprime, nei limiti delle competenze, nulla osta per la concessione dell’autorizzazione del conferimento in discarica».
A seguito di alcuni gravi incidenti, un comitato cittadino denominato Coordinamento Ambiente-Salute ha denunciato invano la grave situazione.
Il sindaco dell’epoca adotta un’Ordinanza l’11 dicembre 1992 (numero 224/92) che, tuttavia, rivela il grado di approssimazione e la connivenza dell’autorità sanitaria locale: «VISTA la relazione di accertamenti disposti dal P.M.P.I.P. di Campobasso presso lo stabilimento industriale della ditta Union Carbide Chemicals S.p.A. di Termoli, da cui emerge che sull’area attrezzata per lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti speciali prodotti esclusivamente all’interno de citato insediamento sono presenti ancora numerosi fusti metallici (circa 1900) contenenti rifiuti pesanti di CNT, allo stato solido per un quantitativo di circa 380 tonnellate, provenienti dalla distillazione del ciano-etil-tricolosilano; alcuni di questi fusti sono risultati in stato di deterioramento, causato dall’elevata corrosività del prodotto contenuto … il quantitativo di rifiuti di CNT stoccati è significativamente diminuito, in quanto nel frattempo l’azienda sta provvedendo al loro smaltimento mediante termodistruzione nel proprio forno inceneritore…».
IL 20 gennaio 1993 il sindaco termolese «ORDINA all’azienda Union Carbide di Termoli di eliminare i residui allo stato solido di CNT entro il 31/12/1994 con il sistema di smaltimento adottato ovvero ricorrendo a sistemi alternativi».
Il 6 marzo di 20 anni fa interviene il prefetto Palmieri. Nella sua nota indirizzata al sindaco ha scritto:
«… si sottopone all’attenzione della S.V. l’eccessiva dilazione concessa alla soc. Union Carbide (31/12/1994) che non sembra trovare valida giustificazione…».
La Prefettura seguita a scrivere al sindaco, ma senza ottenere risposta. Infatti in una missiva del 7 luglio 1993 si fa riferimento ad «Accertamenti presso la Union Carbide Chemicals… Si prega di voler cortesemente riscontrare la prefettizia di pari numero del 26 maggio 1993».
Il dirigente del Servizio di ifgiene Publica, Elio D0’Ascenzo il 3 gennaio 1994 invia un rapporto a varie autorità, tra cui la Procura della Repubblica di Larino, a proposito dell’inquinamento provocato dalle industrie chimiche “Union Carbide Chemicals, Vima ed Sts”:
«… dai controlli in questione sono emerse delle irregolarità formali e sostanziali nella gestione dei reflui aziendali…».
Da un rapporto datato 5 marzo 1996 del responsabile del Presidio Multizonale Igiene e Prevenzione di Campobasso (Carlo Carlomagno) si apprende che «nell’area del Nucleo industriale di Termoli operano tre Aziende del campo della chimica c.d. fine, e cioè la S.T.S. Spa, la Flexsys Spa e la OSI Specialties Italia Spa che opera dal 1982» tutte soggette alle direttive Seveso.
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Lo stabilimento O.S.I. Specialties Italia S.p.A. (già Union Carbide Chemicals) è sito in località Rivolta del re, a sud ovest della città di Termoli. L’unità produttiva è in esercizio dal settembre 1982 per produrre silani organo funzionali (derivati organici del silicio). Il ciclo tecnologico prevede quale prodotto di partenza il Triclorosilano. Le principali ,materie prime utilizzate oltre all’acrilonitrile ed al triclorosilano, sono l’etanolo, il metanolo, il toluolo, il viniltriclorosilano, l’allilmetacrilato ed il metilcellosolve. Dal processo produttivo scaturiscono prodotti di scarto che vengono distrutti mediante incenerimento che si disperde nell’aria fuoriuscendo da un camino. I reflui chimici invece vengono scaricati nel fiume Biferno che recapita nell’Adriatico: fino a tutto il 1993 la multinazionale non aveva neanche l’autorizzazione allo scarico.
In altri termini: inquinamento a norma di legge e cancro assicurato per tutti, o quasi.
Post Scriptum:
La nube formatasi in seguito al rilascio di isocianato di metile, iniziato poco dopo la mezzanotte del 3 dicembre 1984, uccise in poco tempo 2.259 persone e avvelenò decine di migliaia di altre. Il governo del Madhya Pradesh ha confermato un totale di 3.787 morti direttamente correlate all’evento, ma stime di agenzie governative arrivano a 15.000 vittime. Un affidavit governativo del 2006 asserisce che l’incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone, delle quali circa 3.900 risultano permanentemente invalidate a livello grave. Ancora nel 2006, nelle zone interessate dalla fuoriuscita del gas il tasso di morbilità è 2,4 volte più elevato che nelle altre adiacenti.
La Union Carbide India Limited (UCIL) venne fondata nel 1934 dalla Union Carbide Corporation USA (UCC), uno dei primi investitori americani in India. Divenne una sussidiaria della UCC il 24 dicembre 1959 e l’azienda nordamericana al momento dell’incidente ne deteneva il 50,9% delle azioni.
L’impianto di Bhopal fu costruito a partire dal 1969 su terreno preso in affitto dal governo locale. La sezione per la produzione di MIC venne aggiunta nel 1979 ed entrò in funzione il 5 febbraio 1980. Il MIC era un prodotto intermedio nella produzione del pesticida carbaryl (nome commerciale Sevin) e Bhopal era l’unico impianto a produrlo fuori dagli Stati Uniti.
Nel novembre 1987, indipendentemente dal giudizio civile, il Central Bureau of Investigation indiano rinviò a giudizio la: Union Carbide, la Union Carbide Eastern Inc., la Union Carbide India Limited, Warren Anderson e otto manager indiani della Union Carbide India Limited con l’accusa di omicidio colposo e lesioni gravi, per aver provocato morti e danni permanenti attraverso l’esercizio irresponsabile di attività e di tecnologie altamente pericolose.
Nel 1991 l’accordo di risarcimento venne riesaminato da un tribunale indiano che decise per l’imputazione a carico della Union Carbide e di Warren Anderson, né la multinazionale né il suo presidente si presentarono al processo e vennero quindi dichiarati latitanti.
Il gruppo delle vittime sollevò la questione della costituzionalità del Bhopal Act, con riferimento all’attribuzione esclusiva al Governo indiano della legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni, ma la Corte suprema respinse l’istanza con la motivazione che permettere ai singoli danneggiati di agire parallelamente al Governo: «sarebbe risultato così macchinoso che la procedura non sarebbe stata veloce, effettiva ed equa, non certo il sistema migliore e più vantaggioso per assicurare soddisfazione alle pretese nascenti dalla fuga di gas».
I giudici newyorkesi hanno rigettato l’azione delle vittime di Bhopal, in quanto non legittimate ad agire:
«Il potere di agire è riservato per legge indiana esclusivamente al Governo indiano e continuare questo processo sarebbe un’inammissibile ingerenza nella sovranità di un altro Stato; e comunque nessuna pretesa può essere avanzata dopo che è stato sottoscritto un componimento amichevole con la Union Carbide”.
“La corte ha rigettato anche questa azione sostenendo che la pretesa non può essere considerata interesse comune di tutti gli attori né di quelli da loro rappresentati e perciò non presenta gli estremi di una class action:
«La Corte dichiara il caso chiuso e ordina che il cancelliere rimuova il fascicolo dalle cause pendenti davanti alla Corte. Così è deciso »
Adottando i consigli provenienti da Washington, il governo indiano decise di alleggerire i capi d’accusa legati a Bhopal, trasformandoli semplicemente in accusa di negligenza anziché omicidio.
Il numero degli anni di reclusione si riduce, da 10 a 2, o la severità delle pene da infliggere ai singoli, piuttosto la legittima aspettativa di vedere riconosciute le responsabilità, ancor di più, il diritto a risarcimenti, riparazioni, ripristini, bonifiche.
Il 17 luglio 2002 la Corte di Giustizia di Bhopal ha espresso il suo verdetto negativo, per lo stato del Madya Pradesh, infine il primo luglio 2003, il Governo indiano trasmette al Governo americano i documenti per l’estradizione di Warren Anderson.
Il 13 luglio 2004, il governo USA ha respinto la richiesta di estradizione per Anderson.
Nel giugno del 2010 un tribunale indiano giunge ad una condanna di colpevolezza nei confronti di 8 individui (7 dipendenti indiani della fabbrica e il presidente americano della Union Carbide Corporation ai tempi dell’incidente a Bhopal, Warren Anderson di 90 anni, sempre latitante.
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